Riprende la narrazione don Giorgio : - parte 7° - periodo post bellico
(seguito della parte 6°)
La piccola borgata dei Casoni, dove abitava la nostra famiglia si era trovata al centro degli eventi bellici, cito qui una nota storica di un avvenimento bellico a poche centinai di metri da casa dei miei genitori :
"L'AVANZATA VERSO MONTE CASTELLARI"
Superate le posizioni tedesche della Linea Gotica fra i passi della Futa e del Giogo, il gen.Clark decise di lanciare la 84a divisione a cavallo fra l'Idice e il Sillaro, la 91a lungo la statale della Futa e la 34a, in un ruolo di secondo piano, lungo il crinale fra Savena e Setta. Dopo un'accurata preparazione di artigleria l'attacco verso le difese attorno a Monghidoro scattò alle ore 06.00 del 1 ottobre 1944.
Le truppe tedesche della 4a e 362a divisione, sebbene pesantemente indebolite dalle perdite, tennero campo fino alla notte del 4 ottobre per ritirarsi sulla linea difensiva posta nei pressi di Loiano, la prima di tre, cui seguivano quella di Livergnano e quella di Pianoro.
Questo faceva intendere come fosse loro intenzione difendersi accanitamenye, contendendo ogni metro di terreno, nella speranza di costringere gli alleati ad una pausa invernale prima di lanciare l'assalto verso la pianura.
Il giorno 5 Ottobre la 85a divisione attaccò lungo lo spartiacque fra idice e Sillaro, imbattendosi presto in una forte resistenza nei pressi del Monte delle Formiche, difeso da elementi della 65a, 98a e 362a divisione di fanteria tedesca.
La 91a divisione alleata mosse alle prime luci del 5 ottobre verso Loiano e dopo dodici minuti di bombardamento, per un totale di un migliaio di colpi, gli uomini del 2° battaglione e del 362° reggimento entrarono in paese, che cadde nelle loro mani dopo un combattimento casa per casa durato fino al primo pomeriggio.
Un caposaldo tedesco era stato intanto predisposto su Monte Castellari, fra Loiano e Livergnano, sa dove per due giorni, al cadere della notte, venne bombardato pesantemente Loiano ed i suoi dintorni settentrionali.
Gli alleati con l'appoggio dei carri, subendo per di più i colpi della propria aviazione, conquistarono infine con il 1° battaglione del 362° reggimento quota 705 (sopra i Casoni, lungo la Napoleonica) proprio a sud di Monte Castellari, mentre il 3° battaglione si era spinto verso l'Anconella.
Nella speranda di cogliere i difensori di sorpresa, la mattina del 7 ottobre un nuovo attacco venne portato verso Monte Castellari senza preparazione di artiglieria, ma il risultato fu scadente, così si proseguì nei giorni successivi, peraltro di maltempo, con una media giornaliera di 4.500 colpi di artiglieria contro solo questa altura.
Alle 04,30 del giorno 8 ottobre si aggiunse il 2° battaglione, i cui soldati andarono all'assalto nell'oscurità bagnati fradici di pioggia.
Questo attacco ebbe effetto perchè il giorno 9 ottobre una pattuglia raggiunse Monte Castellari senza incontrare resistenza: i tedeschi del 145° reggimento della 65a divisione erano arretrati nella notte, abbandonando questo rilievo che risultava essere il più alto fra Loiano e Livergnano.
Le perdite americane risultarono di circa 1.400 uomini; molto più alte, ma indefinite nel numero, furono stimate quelle tedesche.
Dopo aspri combattimenti per la conquista di Livergnano, il fronte si arrestò, poi a novembre, alcuni chilometri oltre questo piccolo centro, a 15 km in linea d'aria da Bologna.
Così Monte Castellari rimase nelle immediate retrovie del fronte, crivellato da postazioni scavate nel nudo terreno ed occupate da mortai, carri armati (quelle più in basso), nidi di mitragliatrici, ricoveri per uomini, rifornimenti e munizioni, in numero di oltre 80, così come ancora oggi possono essere viste.
Questa posizione, situata in una conca defilata rispetto ai tiri nemici, fu di appoggio agli attacchi alleati a Monterumici, Monte Adone, Monte Arnigo, fino all'oofensiva decisiva dell'aprile 1945." (Testo desunto da un tabellone posto in prossimità del "Monte Castellari" messo come guida dei posti della "Linea Gotica")
Per una serie di avvenimenti l'abitazione dei miei genitori fu dapprima requisita dal Comando Tedesco (confinando in soffitta i miei genitori), poi quando fuggirono, ironia della sorte, vi si installo il Comando Americano.
Un minuscolo tavolino,(ancora in possesso dello scrivente), fu usato dal Generale Clarck durante un visita di Umberto di Savoia (che visitò spesso il fronte), unitamente allo staff di ufficiali per discutere i piani.
Qui uno screen-shot da Google del Monte Castellari, e il vicino borgo dei "Casoni" oggetto del racconto.
In rosso la linea di postazione tedesca e poi alleata sul Monte Castellari (Tutt'ora visitabile)
(Cliccare sull'immagine per un ingrandimento.)
La zona dell'Idice era ancora coperta di armi abbandonate, carogne di animali che emettevano un fetore insopportabile e qualche cadavere di soldati tedeschi; poi tante mine, per cui bisognava mettere tanta attenzione nel camminare.
Verso sera giungemmo al Poggiolo e Augusto potè riabbracciare i suoi.
Dopo un po di sosta mi avviai verso la Chiesa parrocchiale di Barbarolo ma dovetti sedermi sul ciglio di un campo perchè mi girava la testa.
Non avevo preso cibo dalla mattina; avevo si con me una pagnottella di pane secco che il mio Prefetto del Seminario, Mons. Giovanni Catti, mi aveva donato prima della partenza, ma non avevo potuto mangiarla a causa della bocca secca per la sete e a causa del fetore degli animali morti.
Non si poteva andare in cerca di fontane, sia perchè l'acqua poteva essere inquinata, sia perchè c'era il pericolo di incappare in una mina.
Giunto a Barbarolo trovai l'Abate Don Ugo Trerè in uno scantinato; la Chiesa distrutta, la casa canonica anch'essa colpita dalle bombe e in gran parte distrutta.
La Signora Ida Sassatelli Salomoni mi chiese subito se avessi saputo notizie del suo Alberto.
Io non ebbi il coraggio di dirle che era già morto.
Lo seppe poi nei giorni seguenti.
Alberto era stato di tanto sostegno per il parroco e tanto prezioso per il servizio alla Chiesa.
Anche per l'Abate Trerè questa morte fu uno schianto, tanto più che le sue condizioni di salute non erano poi tanto floride.
Come luogo di culto fu approntato il loggione della Canonica, quella parte che non era stata distrutta.
Ricordo ancora, con tanta commozione, quel periodo di rovine e di povertà.
I banchi di Chiesa erano costituiti da cassette di legno, raccolte dove erano servite per contenere i proiettili; i vasi per i fiori erano bossoli vuoti di proiettili da cannone.
In occasione dell'ammnistrazione della Santa Cresima il 26 luglio 1946 si andò in Chiesa grande, cioè nella Chiesa bombardata. Mons. Fedrico Gambucci, Vicario Generale e Delegato per la Santa Cresima celebrò all'Altare Maggiore (rimasto intatto) e tutta la gente era sistemata là, a cielo aperto, nella Chiesa non ancora ricostruita.
Un'altra cosa a cui è opportuno ripensare che contribuisce a dimostrare quante sofferenze pativa sopratutto la povera gente è quello della scarsezza di viveri che ha caratterizzato il periodo della guerra ed anche del dopo guerra fino al 1948.
I generi alimentari erano severamente razionati; ogni individuo usufruiva di una tessera annonaria.
Il pane era concesso in ragione di grammi 100 al giorno (150 per una fascia di età più bisognosa).
I più fortunati erano gli agricoltori, che potevano trattenere del raccolto, due quintali di grano a testa.
La carne era un bene di consumo quasi sconosciuto a causa della grande miseria.
Poco si consumava di altri generi (formaggio, latte,...) per lo stesso motivo.
La povera gente ( e la mia famiglia era una di queste) puntava sul pane e sulla polenta, ma con la tessera annonaria si poteva avere ben poco anche di questi ed era allora la fame, la fame vera.
In questa situazione si verificò la triste piaga del mercato nero. Gli agricoltori riuscivano facilmente a sottrarre alla consegna, all' "ammasso granario" istituito dallo stato, abbondanti quantitativi di cereali da vendere poi al mercato nero.
Ricordo che anche la mia famiglia dovette far ricorso all'acquisto di qualcosa da mangiare pagando cifre che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Ricordo, per esempio, che per un quintale di granoturco, dovemmo sborsare la cifra di lire mille, equivalente alla paga di cinquanta giorni di lavoro di mio padre (questo nell'autunno dell'anno 1943).
Terminata la guerra, la gente di qui comincio a trovare lavoro, specie nell'edilizia, da Pianoro in giù.
Corriere piene di operai facevano la spola ogni giorno.
Quella stessa gente poi finì per trasferirsi a Pianoro, Rastignano, San Ruffillo.... anche come abitazione.
Cominciò così lo spopolamento della Parrocchia e non a torto perchè la guerra aveva distrutto o danneggiato varie case.
Le abitazioni quassù erano allora senza servizi igenici, senza acqua, subito dopo la guerra ancora senza energia elettrica
(si usava ancora il "lume a petrolio" o a "carburo").
Perfino le case dei benestanti erano sprovvistidi questi beni (avevano dei servizi igenici a pozzetto, senza acqua corrente, maleodoranti, con l'unico vantaggio di averli, e averli in casa).
Case che erano delle catapecchie....
Non fa meraviglia quindi che la gente che andava verso Bologna a lavorare e a costruire case più dignitose, sentisse poi il desiderio e il bisogno di andare ad abitare in case siffatte.
Per un certo numero di anni, fino cioè a poco prima del 1970 l'andare ad abitare a Bologna o anche solo a Pianoro veniva considerato un fatto promozionale.